Giardino Storico e Sacello Romano (Ospedale Militare)







Giardino Storico e Sacello Romano
ospedale militare Archeologia
giardino storico
I giardini e l’area archeologica dell’Ospedale della Marina Militare di Taranto, nel borgo umbertino della città, nell’antichità facevano parte della necropoli tarantina che ha restituito migliaia di reperti tra cui il Sacello tardo repubblicano databile al II-I secolo a.C., i cui resti sono conservati in un vano ipogeo accessibile dallo spazio dell’area iperbarica in un contesto di naturale bellezza in cui le piante di acanto, ispiratrici di tante creazioni del mondo greco e romano, proliferavano e proliferano grazie ai citri d’acqua dolce che sgorgano ancora oggi nei Giardini. Uno scenario incantato quello dei Giardini storici di proprietà delle famiglie Thomai e Foresio sino alla fine del XVIII secolo, poi delle famiglie Giovinazzi e Catapano.
Proprietà sopravvissute alla costruzione dell’Arsenale Militare nel 1885 lungo l’antica via di Santa Lucia, che, a ridosso del mare, portava dall’isola ad una Chiesetta intitolata a Santa Lucia dei Pescatori; una vecchia casa rurale delle famiglie Foresio/Guardone e la sua antica scalinata del ‘600, nell’area divenuta ospedaliera, dapprima come chiesa ed alloggio suore ed oggi come chiesa ed uffici direzionali. Nei giardini oggi ci sono anche numerosi resti del giardino della villa di Mons. Giuseppe Capecelatro, arcivescovo di Taranto, resti che rispecchiano la grandezza del suo proprietario, nobiluomo di Chiesa, di cultura e di scienza, anch’essa sulla strada di Santa Lucia. La magnificenza dei luoghi tutta in una famosa iscrizione che era posta all’ingresso della villa epigrafata su uno scudo di uno dei due Leoni di pietra che oggi introducono al viale centrale del giardino: “Se qui Adamo avesse nuovamente peccato, forse Dio avrebbe fatto finta di niente”. La demolizione della villa ormai in abbandono che, dopo Capecelatro fu dimora del generale Florestano Pepe, fratello di Guglielmo Pepe, avvenne nel 1893.
Uno scrigno di tesori di archeologia classica e subacquea in un habitat naturale di grande bellezza e fascino.
sacello romano tardo repubblicano
Nell’antichità, oltre al teatro ricordato dagli autori antichi e dalle cronache di viaggiatori del XVIII secolo, la zona faceva parte della estesissima necropoli tarantina, che ha restituito stipi (ripostigli) votive contenenti migliaia di reperti. Fra le testimonianze più significative si annovera il Sacello tardo repubblicano i cui resti sono conservati in un vano ipogeo accessibile dallo spazio del reparto infettivi dell'Ospedale Militare.
Il santuario venne scoperto nel 1901 dall’archeologo Quintino Quagliati, in quegli anni Soprintendente a Taranto, ed occupava un'area posta all’ interno della necropoli tarantina, in un contesto di naturale bellezza in cui le piante di acanto, ispiratrici di tante creazioni del mondo greco e romano, proliferano grazie ai citri d’acqua dolce che sgorgano nell’attuale giardino, che la creazione di un parco potrà valorizzare adeguatamente.
Il sacello, databile al II-I secolo a.C., presenta una cella rettangolare realizzata in opera cementizia dal disegno irregolare (opus incertum), che ha inglobato materiale di spoglio più antico.
Vi si accede da est per mezzo di una porta con stipiti monolitici.
All'interno si conserva ancora parte dell'intonaco dipinto, la cui decorazione presenta delle fasce verticali in rosso.
In asse con l'ingresso è posto il probabile altare, mentre contro il muro di fondo, è un alto basamento, anch'esso in opera incerta, sul quale poggia un blocco in carparo con incavo centrale. Addossate alle pareti si conservano cinque stele in calcare bianco su basi modanate.
Non sono decorate né inscritte, tranne quella a sinistra della porta, che reca scolpita una torcia.
Al momento della scoperta, il Quagliati attribuì il sacello a Venere Libitina, divinità che soprintendeva ai rituali e alle cerimonie funebri. La particolarità dell'altare interno per sacrifici incruenti e il simbolo della torcia scolpita su una delle stele suggeriscono una possibile dedica dello spazio sacro anche ad altre divinità femminili collegate al mondo dell’oltretomba, Artemide/Hekate, Kore o Demetra.
Fra le numerose Stipi Votive rinvenute nel corso delle ricerche archeologiche effettuate nel settore compreso fra l’Ospedale Militare e la rada Santa Lucia si ricordano:
- La Stipe di “Fondo Giovinazzi” che ha restituito oltre 30.000 frammenti di terrecotte figurate, molte delle quali relative al tipo del cosiddetto “recumbente;
- La Stipe del Fondo d’Ayala Valva (rinvenuta tra via Pitagora e via Nitti);
- La Stipe ritrovata a nord di via Di Palma, contigua al Fondo Giovinazzi;
- Il deposito votivo dell’Ospedale M.M.- Reparto infettivi
- Il cosiddetto “Tempio di Asklepio”, citato dalle fonti letterarie, di probabile ubicazione nella valletta dell’Asinaro, sul Mar Piccolo, a nord dell’Ospedale Militare, vicino al porto interno fortificato, area dedicata a culti salvifici, dalla quale, nel XVIII secolo, vennero recuperati ex voto anatomici.
giardino storico
I giardini e l’area archeologica dell’Ospedale della Marina Militare di Taranto, nel borgo umbertino della città, nell’antichità facevano parte della necropoli tarantina che ha restituito migliaia di reperti tra cui il Sacello tardo repubblicano databile al II-I secolo a.C., i cui resti sono conservati in un vano ipogeo accessibile dallo spazio dell’area iperbarica in un contesto di naturale bellezza in cui le piante di acanto, ispiratrici di tante creazioni del mondo greco e romano, proliferavano e proliferano grazie ai citri d’acqua dolce che sgorgano ancora oggi nei Giardini. Uno scenario incantato quello dei Giardini storici di proprietà delle famiglie Thomai e Foresio sino alla fine del XVIII secolo, poi delle famiglie Giovinazzi e Catapano.
Proprietà sopravvissute alla costruzione dell’Arsenale Militare nel 1885 lungo l’antica via di Santa Lucia, che, a ridosso del mare, portava dall’isola ad una Chiesetta intitolata a Santa Lucia dei Pescatori; una vecchia casa rurale delle famiglie Foresio/Guardone e la sua antica scalinata del ‘600, nell’area divenuta ospedaliera, dapprima come chiesa ed alloggio suore ed oggi come chiesa ed uffici direzionali. Nei giardini oggi ci sono anche numerosi resti del giardino della villa di Mons. Giuseppe Capecelatro, arcivescovo di Taranto, resti che rispecchiano la grandezza del suo proprietario, nobiluomo di Chiesa, di cultura e di scienza, anch’essa sulla strada di Santa Lucia. La magnificenza dei luoghi tutta in una famosa iscrizione che era posta all’ingresso della villa epigrafata su uno scudo di uno dei due Leoni di pietra che oggi introducono al viale centrale del giardino: “Se qui Adamo avesse nuovamente peccato, forse Dio avrebbe fatto finta di niente”. La demolizione della villa ormai in abbandono che, dopo Capecelatro fu dimora del generale Florestano Pepe, fratello di Guglielmo Pepe, avvenne nel 1893.
Uno scrigno di tesori di archeologia classica e subacquea in un habitat naturale di grande bellezza e fascino.
sacello romano tardo repubblicano
Nell’antichità, oltre al teatro ricordato dagli autori antichi e dalle cronache di viaggiatori del XVIII secolo, la zona faceva parte della estesissima necropoli tarantina, che ha restituito stipi (ripostigli) votive contenenti migliaia di reperti. Fra le testimonianze più significative si annovera il Sacello tardo repubblicano i cui resti sono conservati in un vano ipogeo accessibile dallo spazio del reparto infettivi dell'Ospedale Militare.
Il santuario venne scoperto nel 1901 dall’archeologo Quintino Quagliati, in quegli anni Soprintendente a Taranto, ed occupava un'area posta all’ interno della necropoli tarantina, in un contesto di naturale bellezza in cui le piante di acanto, ispiratrici di tante creazioni del mondo greco e romano, proliferano grazie ai citri d’acqua dolce che sgorgano nell’attuale giardino, che la creazione di un parco potrà valorizzare adeguatamente.
Il sacello, databile al II-I secolo a.C., presenta una cella rettangolare realizzata in opera cementizia dal disegno irregolare (opus incertum), che ha inglobato materiale di spoglio più antico.
Vi si accede da est per mezzo di una porta con stipiti monolitici.
All'interno si conserva ancora parte dell'intonaco dipinto, la cui decorazione presenta delle fasce verticali in rosso.
In asse con l'ingresso è posto il probabile altare, mentre contro il muro di fondo, è un alto basamento, anch'esso in opera incerta, sul quale poggia un blocco in carparo con incavo centrale. Addossate alle pareti si conservano cinque stele in calcare bianco su basi modanate.
Non sono decorate né inscritte, tranne quella a sinistra della porta, che reca scolpita una torcia.
Al momento della scoperta, il Quagliati attribuì il sacello a Venere Libitina, divinità che soprintendeva ai rituali e alle cerimonie funebri. La particolarità dell'altare interno per sacrifici incruenti e il simbolo della torcia scolpita su una delle stele suggeriscono una possibile dedica dello spazio sacro anche ad altre divinità femminili collegate al mondo dell’oltretomba, Artemide/Hekate, Kore o Demetra.
Fra le numerose Stipi Votive rinvenute nel corso delle ricerche archeologiche effettuate nel settore compreso fra l’Ospedale Militare e la rada Santa Lucia si ricordano:
- La Stipe di “Fondo Giovinazzi” che ha restituito oltre 30.000 frammenti di terrecotte figurate, molte delle quali relative al tipo del cosiddetto “recumbente;
- La Stipe del Fondo d’Ayala Valva (rinvenuta tra via Pitagora e via Nitti);
- La Stipe ritrovata a nord di via Di Palma, contigua al Fondo Giovinazzi;
- Il deposito votivo dell’Ospedale M.M.- Reparto infettivi
- Il cosiddetto “Tempio di Asklepio”, citato dalle fonti letterarie, di probabile ubicazione nella valletta dell’Asinaro, sul Mar Piccolo, a nord dell’Ospedale Militare, vicino al porto interno fortificato, area dedicata a culti salvifici, dalla quale, nel XVIII secolo, vennero recuperati ex voto anatomici.
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Giardino Storico e Sacello Romano
ospedale militare Archeologia
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I giardini e l’area archeologica dell’Ospedale della Marina Militare di Taranto, nel borgo umbertino della città, nell’antichità facevano parte della necropoli tarantina che ha restituito migliaia di reperti tra cui il Sacello tardo repubblicano databile al II-I secolo a.C., i cui resti sono conservati in un vano ipogeo accessibile dallo spazio dell’area iperbarica in un contesto di naturale bellezza in cui le piante di acanto, ispiratrici di tante creazioni del mondo greco e romano, proliferavano e proliferano grazie ai citri d’acqua dolce che sgorgano ancora oggi nei Giardini. Uno scenario incantato quello dei Giardini storici di proprietà delle famiglie Thomai e Foresio sino alla fine del XVIII secolo, poi delle famiglie Giovinazzi e Catapano.
Proprietà sopravvissute alla costruzione dell’Arsenale Militare nel 1885 lungo l’antica via di Santa Lucia, che, a ridosso del mare, portava dall’isola ad una Chiesetta intitolata a Santa Lucia dei Pescatori; una vecchia casa rurale delle famiglie Foresio/Guardone e la sua antica scalinata del ‘600, nell’area divenuta ospedaliera, dapprima come chiesa ed alloggio suore ed oggi come chiesa ed uffici direzionali. Nei giardini oggi ci sono anche numerosi resti del giardino della villa di Mons. Giuseppe Capecelatro, arcivescovo di Taranto, resti che rispecchiano la grandezza del suo proprietario, nobiluomo di Chiesa, di cultura e di scienza, anch’essa sulla strada di Santa Lucia. La magnificenza dei luoghi tutta in una famosa iscrizione che era posta all’ingresso della villa epigrafata su uno scudo di uno dei due Leoni di pietra che oggi introducono al viale centrale del giardino: “Se qui Adamo avesse nuovamente peccato, forse Dio avrebbe fatto finta di niente”. La demolizione della villa ormai in abbandono che, dopo Capecelatro fu dimora del generale Florestano Pepe, fratello di Guglielmo Pepe, avvenne nel 1893.
Uno scrigno di tesori di archeologia classica e subacquea in un habitat naturale di grande bellezza e fascino.
sacello romano tardo repubblicano
Nell’antichità, oltre al teatro ricordato dagli autori antichi e dalle cronache di viaggiatori del XVIII secolo, la zona faceva parte della estesissima necropoli tarantina, che ha restituito stipi (ripostigli) votive contenenti migliaia di reperti. Fra le testimonianze più significative si annovera il Sacello tardo repubblicano i cui resti sono conservati in un vano ipogeo accessibile dallo spazio del reparto infettivi dell'Ospedale Militare.
Il santuario venne scoperto nel 1901 dall’archeologo Quintino Quagliati, in quegli anni Soprintendente a Taranto, ed occupava un'area posta all’ interno della necropoli tarantina, in un contesto di naturale bellezza in cui le piante di acanto, ispiratrici di tante creazioni del mondo greco e romano, proliferano grazie ai citri d’acqua dolce che sgorgano nell’attuale giardino, che la creazione di un parco potrà valorizzare adeguatamente.
Il sacello, databile al II-I secolo a.C., presenta una cella rettangolare realizzata in opera cementizia dal disegno irregolare (opus incertum), che ha inglobato materiale di spoglio più antico.
Vi si accede da est per mezzo di una porta con stipiti monolitici.
All'interno si conserva ancora parte dell'intonaco dipinto, la cui decorazione presenta delle fasce verticali in rosso.
In asse con l'ingresso è posto il probabile altare, mentre contro il muro di fondo, è un alto basamento, anch'esso in opera incerta, sul quale poggia un blocco in carparo con incavo centrale. Addossate alle pareti si conservano cinque stele in calcare bianco su basi modanate.
Non sono decorate né inscritte, tranne quella a sinistra della porta, che reca scolpita una torcia.
Al momento della scoperta, il Quagliati attribuì il sacello a Venere Libitina, divinità che soprintendeva ai rituali e alle cerimonie funebri. La particolarità dell'altare interno per sacrifici incruenti e il simbolo della torcia scolpita su una delle stele suggeriscono una possibile dedica dello spazio sacro anche ad altre divinità femminili collegate al mondo dell’oltretomba, Artemide/Hekate, Kore o Demetra.
Fra le numerose Stipi Votive rinvenute nel corso delle ricerche archeologiche effettuate nel settore compreso fra l’Ospedale Militare e la rada Santa Lucia si ricordano:
- La Stipe di “Fondo Giovinazzi” che ha restituito oltre 30.000 frammenti di terrecotte figurate, molte delle quali relative al tipo del cosiddetto “recumbente;
- La Stipe del Fondo d’Ayala Valva (rinvenuta tra via Pitagora e via Nitti);
- La Stipe ritrovata a nord di via Di Palma, contigua al Fondo Giovinazzi;
- Il deposito votivo dell’Ospedale M.M.- Reparto infettivi
- Il cosiddetto “Tempio di Asklepio”, citato dalle fonti letterarie, di probabile ubicazione nella valletta dell’Asinaro, sul Mar Piccolo, a nord dell’Ospedale Militare, vicino al porto interno fortificato, area dedicata a culti salvifici, dalla quale, nel XVIII secolo, vennero recuperati ex voto anatomici.
contatti
Via Pupino 1, Taranto
mspedal.ta.urp@marina.difesa.it
099 7750315 /+39 338 6156995
informazioni utili
accessible
60 minuti (permanenza media)
orari di apertura
- Prenotazioone telefonica obbligatoria
- Ingresso Gratuito
- Ingressi programmati come da accordi con gruppi/associazioni in sede di prenotazione per la natura dell’ente quale struttura sanitaria militare